Lo stadio è uno spettacolo unico nel suo genere: tanti individui si riuniscono per assistere ad uno stesso evento, tenuto da pochi. Negli eventi più seguiti e che attraggono maggior pubblico il rapporto in termini numerici è sempre a sfavore di chi sta performando, andando a creare quell’incredibile sbalzo d’occhio tra gli spalti e l’attrazione centrale. In quell’istante ci si accorge di due cose: dell’importanza del singolo e del valore dell’impegno. Spesso il primo elemento offusca il secondo e la percezione del momento si blocca superficialmente alla fama del protagonista dello sguardo, che da umano si trasforma in rarità sovraumana nata con già del talento in dotazione. Sì, il singolo che è passato dall’essere uno dei tanti sugli spalti all’essere uno dei pochi al centro ha ora l’attenzione su di lui, il peso del complesso dell’aspettativa è tutta sulle sue spalle.
Dall’epoca dei gladiatori ad oggi, il modo di vivere questi grandi eventi è cambiato radicalmente consentendo di creare uno stadio enorme e virtuale, permettendo ad una platea sempre crescente di accedere a dei momenti che prima erano unici e per “pochi” fortunati. La perdita dell’esclusività non ha comunque scoraggiato folle titaniche di fan scalpitanti, che riversano gli stadi ancora oggi, preferendo l’emozione presente a quella virtuale o in differita.
Questo articolo termina volutamente qui, lasciando il lettore con una domanda irrisolta: quale può essere il senso del desiderio di vedere dal vivo in così tanti, così pochi?