Nasciamo piccoli, in molti sensi.
Neonati, non sappiamo niente di ciò che ci circonda e siamo spaesati. Abbiamo bisogno di cura e non abbiamo una vera e propria cognizione già formata. Personalmente penso che suscitino forte impressione gli occhi che, non ancora delineati e sviluppati, si pongono come ad inviare un messaggio a chi volge loro lo sguardo per la prima volta, un messaggio innocente e primordiale che dice: “Insegnami a vedere”. Siamo all’estremo primo della vita e sebbene piccoli nella carne, siamo universali nell’emozioni che siamo in grado di suscitare con il nostro corpo e con i nostri movimenti al pubblico di età e animo eterogeneo, che ci osserva, ci ama, ci odia e ci culla.
Ogni tanto, anzi a dire la verità quasi sempre, ci dimentichiamo che sebbene adulti siamo sempre noi stessi: quello che siamo già fu, neonato. Questo è un pensiero di conservazione di una parte del nostro essere profondamente e complessamente nascosta, ma che subentra ogniqualvolta ci approcciamo a qualcosa di nuovo con gli occhi non ancora pronti e chiediamo a qualcuno di illustrarci la strada.
Ogni epoca della nostra vita ha lasciato dentro il nostro essere un segno, una scia indelebile che ci forma e plasma fino alla fine dei nostri giorni e tra le ere del nostro esistere è compresa anche quella neonatale.
Sono convinto che non si tratti del non ricordare passivamente, ma piuttosto di dimenticare attivamente.
I primi anni di vita sono particolarmente complessi e dei quali ricordiamo solo alcuni flash in età adulta. Sono complessi perché impariamo cosa significhi avere un corpo, il dolore, la gioia più pura e spontanea e gli errori. I nostri movimenti sono fondamentali e ricerchiamo con un egoismo innato la nostra serenità: sono il contesto e il vivere con la collettività che ci insegna l’altruismo.
Quello dell’infanzia è un periodo associato a facilità, gioco e rilassatezza. Ma diciamocelo: essere bambini non è per niente semplice. Oltre che vivere delle complesse dinamiche psicologiche sociali e scolastiche si è letteralmente piccoli. L’essere piccoli rende tutto molto più grande e privo di dimensione finita in apparenza: tutto si fa più incomprensibile e si fa fatica a delineare un’idea chiara del proprio corpo: ci si percepisce fatti di movimento, o non ci si sente proprio.
In questa cornice di instabilità allegra cominciamo però a sentirci parte della socialità e del mondo che ci circonda e cerchiamo di inserirci nella società in cui siamo immersi: la primissima scuola e l’universo adulto.