isole

Iniziare un articolo peccando di presunzione è sbagliato, come lo è da parte mia pensare di poter dipingere l’umanità prima che nascessi. Perciò: non ci ascoltiamo. Oggi.

Cosa significa? Esempio pratico: su un totale di persone incontrate nell’arco di una semplice giornata, che si sviluppa in mesi e così via in anni, larga parte di esse ha un problema – ai miei occhi – non ascolta. Già quando cominci a parlare loro cerchi di selezionare al massimo le parole, “vendendo” ciò che dici con un’azione di marketing inconscio come se fossi la testata di un giornale di provincia, ma non serve. Appena arrivi alla terza parola vieni interrotto, avete notato che la soglia di attenzione si sta sempre di più assottigliando ad una manciata di secondi e di righe scritte? Ebbene, se vieni interrotto hai una probabilità del 50% di incorrere in una risposta a modo, il resto della probabilità si incanala ad una risposta “smorza-desiderio” di socialità. Superi il momento cercando di rivolgere il filo di ciò che stavi dicendo e noti che la persona davanti a te comincia a muoversi compulsivamente: la bocca si deforma ogni tue due o tre parole, come fosse una radio in galleria cerca di interromperti ad intermittenza, tu caparbia o caparbio moduli il tono di voce alzandolo o abbassandolo e stroncando ogni suo tentativo ulteriore di interruzione. Così lui o lei, delusi dalla non possibilità di parlare sopra celano tutto il loro fastidio e distolgono lo sguardo, rendendo risposte abbozzate e cominciando a dedicarsi ad altro. E così rimani beffato, interdetto dall’ennesima possibilità di parlare persa, ancora in obbligo di riconciliarti con l’interlocutore offeso!

Ora, questa generalizzazione è basata su un vissuto personale, ma quante volte ci capita di non essere ascoltati? Dove risiede la causa di questa creazione di isole umane?

Probabilmente la pandemia che viviamo da ormai due anni ha acuito la necessità di egocentrismo, l’isolamento forzato ci ha portati ad essere singole vittime vulnerabili di un problema collettivo gigantesco e dipinto violentemente dai media. Così abbiamo avvertito la necessità di focalizzarci sempre di più su di noi, sul nostro malessere e su ciò che pensiamo e facciamo, diffidando per motivi sanitari e ideologici degli altri.

Questa rottura della Pangea sociale (che era già fragile nell’era pre-covid) ha comportato la creazione di isole distinte che si sentono distanti. Così socializzare è diventato ancora più problematico: mentre l’interlocutore parla aspettiamo che termini solo per dire la nostra, senza nemmeno creare un minimo di connessione. E così la distanza oceanica che ci divide si sta espandendo e si passa dal non ascoltarsi al non parlarsi nemmeno più.

Ricominciamo ad ascoltarci in maniera gratuita, senza il baratto delle opinioni che sta distruggendo l’interazione umana: torniamo ad essere vicini.

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