TAU TAU P.2

Ti siedi su un cesto morbido di colore cobalto, l’oceano si sdraia sulla sabbia fino quasi a toccarti i piedi. Ti sveglia dall’incanto lo stesso rumore che sentivi nella foresta, uguale ed ostinato “tau, tau… tau, tau…” ti volti. Di fronte a te si rivela una scena insolita e meravigliosa: la donna sta creando una meravigliosa incisione su un tronco di betulla, un’incisione maori tradizionale. Lei ti guarda, ti sorride e ti sussurra dolcemente indicando l’opera: “Moko”.

Con una tranquillità indescrivibile riprende a inciderne la superficie: con una precisione e cadenza uniche batte con un bastone d’osso su un altro, all’estremità di questo è legato un altro pezzo d’osso con molti dentini, simile ad un petttine, responsabili dell’incisione.

Quello che sembrava un rumore si trasforma in un’azione incredibile e unica che diventerà una meravigliosa incisione maori.

Mentre lavora il legno ti dice che quella dei tatuaggi è una tradizione millenaria della cultura di quella parte di Polinesia: ogni tatuaggio ha il suo significato e ha sempre riconciliato il suo popolo con il cielo, la terra e gli avi. I guerrieri, gli uomini e le donne si sono sempre sottoposti e sottoposte al Tohunga-tā-moko, il tatuatore. Il momento del tatuaggio era molto doloroso ed era una prova di coraggio oltre che di grande forza fisica, dove le ferite sanguinanti si rimarginavano anche dopo un anno lasciando spazio a delle meravigliose figure impresse sulla pelle.

Ad un certo punto gli occhi le diventano lucidi: si ricorda ancora quando il suo compagno Hoanui si tatuò il moko del guerriero sul volto. L’operazione durò quasi un mese e le ferite si infettarono e il suo amore rischiò la morte. Poi si riprese e guarì, il villaggio fece una grande festa e accolse il suo nuovo guerriero, pronto per proteggere la tribù. Mentre racconta continua ad incidere sulla forma di legno, cerchi di vedere che cosa rappresenti sia ma non riesci, perciò le chiedi dove ha appreso l’arte del Tohunga-tā-moko guardandola negli occhi dorati: lei ti sorride e si scopre le braccia. Vicino a delle figure astratte meravigliose si innalzano sei enata che rappresentano i suoi famigliari: suo padre, sua madre e i suoi quattro fratelli maggiori. Erano una famiglia di artisti e realizzavano tatuaggi, suo padre tramandò l’arte a tutti i suoi figli, lei compresa anche se la più piccola della famiglia. E così passarono gli anni da tufaga, giovane artista, e le giornate passate ad esercitarsi sul legno e sulle carcasse di maiali.

La osservi mentre parla e ti accorgi della meraviglia dei suoi movimenti, della contrazione e sforzo delle sue braccia e della tranquillità con cui ti sta raccontando la sua vita. Distogli per un attimo lo sguardo dalla sua figura e cominci a guardare il suo capanno: appesi ci sono cocci decorati, conchiglie e stoffe colorate, ma più di tutti ti colpisce un oggetto: una grossa tavola di legno con sopra incisa un tiki, una stilizzazione del viso come divinizzazione di un antenato o di una figura protettrice.

Tutto ad un tratto il silenzio.

La donna si è interrotta, ha terminato l’opera: l’ha sollevata, è di fronte a te.

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