TAU TAU P.1

Cammini svelto nella foresta di Manono, piccola isola della Samoa. Le piante si perdono in altezza e lasciano intravedere pochi raggi luminosi che si scagliano contro inermi massi ricoperti di muschio verde acceso. Il fresco e il canto degli uccelli ti proteggono e ti tranquillizzano.

In un certo momento ti accorgi di un rumore, ritmico ed ostinato, venire da lontano. Cominci a seguirlo e ad avvertirlo sempre più chiaro e forte, ti fermi ad ascoltarlo: “tau, tau, ta…”. Sembra un orologio che preciso scandisce il tempo. Corri fino in fondo al sentiero, sei curioso di conoscere la fonte di quel suono così strambo e singolare. Le fronde sono spesse e ti graffiano le gambe e le braccia, con un po’ di fatica riesci ad aprirti un varco. Di fronte a te una spiaggia dorata si rivela in tutta la sua meravigliosa luce, ti abbaglia e ti abbraccia in un calore cocente. Superato l’abbaglio riesci a scorrere le dune con gli occhi e risali fino alla cima di una collinetta, è abbastanza alta da non lasciare intravedere l’oceano. C’è altro: noti delle orme nella sabbia e un solco irregolare vicino ad esse, probabilmente il solco di un bastone. Il fuoco della curiosità divampa dentro di te e cominci a correre risalendo la cima della collina, la sabbia è calda e morbida.

Gli ultimi passi, ti arrampichi e… Moana, l’oceano. Immenso, riflette la luce potente del sole e scaglia le sue onde gentili e risolute sulla spiaggia, bagnando la sabbia dorata e rendendola marrone. Ma non è tutto, il suono delle onde si confonde con il rumore che già sentivi nella foresta, guardi la spiaggia e intravedi un piccolo capanno costruito in piccolo palmeto. Quasi sicuramente il rumore proviene da lì. Ti avvicini cauto al capanno di legno scuro, tende bianche di lino si lasciano cullare dal vento, non c’è una porta, chiunque può avvicinarsi. Le scosti cercando di non toccarle, sei sporco. Il suono è sempre lo stesso, scandito ritmicamente, ormai sei sotto il capanno: la sabbia fresca e umida ti avvolge i piedi e vedi davanti a te una figura.

Una donna, anziana. Capelli bianchi riuniti in una treccia perfetta e lunga fino alla bassa schiena, dove lascia spazio ad una coltre di tatuaggi meravigliosi che ricopre muscoli e ossa. Un drappeggio blu che fluttua nel vento la copre dolcemente, lasciando libere le braccia e le gambe: è seduta e ti da le spalle. Di fronte a lei l’oceano, imperturbabile ed apparentemente incurante dell’incontro che sta per avvenire. Con un gesto ritmato sta creando quel rumore che già percepivi nella foresta, ma non riesci a capire che cosa stia facendo.

La stai ancora guardando con curiosità ed ammirazione quando lei si volta, leggermente, ma abbastanza da poterti rivolgere entrambi gli occhi: sono di una potenza indescrivibile e hanno un colore unico, come la sabbia dorata sotto il sole cocente d’estate. È bellissima.

Con una dolcezza morbida ti sorride, serra poi le labbra in una smorfia di preoccupazione e ti chiede: “Kei te hiainu koe?” Conosci il maori, ti sta chiedendo se hai sete. Le rispondi di sì, che vieni da un lungo viaggio.

Lei ti fa cenno di sederti e ti dice che stai per cominciarne un altro. La ringrazi, le sorridi e ti siedi.

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